Imagines mundi | 2015-2019
Ci sono molti modi di guardare il mondo. Guardare la Terra da fuori, con i piedi piantati su un altro corpo stellare, oppure stando sospesi nel vuoto del cielo. Un pianeta azzurro, così lo si vide dallo spazio nel 1969, dando a Luigi Ghirri lo spunto per scrivere che quella non era solo l’immagine del mondo, ma l’immagine che contiene tutte le immagini possibili.
Giulia Flavia Baczynski ne propone un altro ancora. Imagines mundi mostra le infinite possibilità della sua cartografia immaginaria, fotografie che evocano la geografia della crosta terrestre: mari, monti e rocce ottenute tramite l’increspatura di fogli di carta da lucido. Non ci sono forme viventi, cespugli, piante, arbusti che forniscano ai luoghi un senso di profondità. Le montagne sono costituite da forme simili ai frattali, le rocce e il mare sono increspature colorate; il cielo è una fitta rete di linee e punti.
Tutto è superficie. Lo spazio è un simulacro che contiene tutti gli spazi possibili; ciò che si vede e si conosce non è la cosa, ma l’immagine della cosa. Strati, gusci e tessuti sono superfici, le loro immagini sperimentano la bidimensionalità. Eppure l’orizzonte a cui questa fotografa rinvia di continuo è quello della complessità, con le sue immagini che traducono il paesaggio in ragionamento. Per questo, Imagines mundi non mostra solo un paesaggio-mappa, bensì un paesaggio-cammino, non un dato, ma un processo: piegare e spiegare, illuminare, fotografare.
Come suggerisce Deleuze, piegare-spiegare non significa soltanto tendere-distendere, contrarre-dilatare, ma avviluppare-sviluppare. La duplicità della piega, scrive il filosofo, “si riproduce necessariamente nei due versanti che distingue, ma che si implicano pur distinguendosi: scissione in cui ciascun termine rinvia all’altro, tensione in cui ogni piega si protende verso l’altra”. Lo sguardo della fotografa si definisce per la sua capacità di piegare le parti dello spazio all’infinito: le superfici crescono, si ripiegano, formano anse, così che la distinzione tra interno ed esterno, tra profondità e superficie si colma di senso.
La piega, infatti, rappresenta ciò che v’è oltre il visibile, implica un’esistenza non esibita, e quindi da esplorare, è ciò che consente al tempo stesso di essere pieno e vuoto, superficie e negazione della superficie, sporgenza e abisso. La piega disegna un corpo di fatto assenze, diviene traccia di ciò che non c’è, e per questo dà forma anche a un processo conoscitivo, a una ricerca. Il concetto di piega si connette a quello di sapere: se l’universo è concepito come il dispiegarsi di un rotolo originariamente ripiegato su se stesso, il sapere racchiuso nel libro può essere appreso solo se e quando viene srotolato. Ma la lectio, come un Exsultet srotolato dal diacono per annunciare la resurrezione, porta alla superficie un testo che rimane cifrato fino a quando non viene spiegato.
Il codice capace di spiegare la forma del mondo si annida tra le sue stesse pieghe e solo se si è disposti a girovagare e a perdersi tra i suoi labirinti si può apprendere un alfabeto che, oltre a farcela riconoscere, ci consente di attribuirle un senso.
Le Views Of Fractal Mountains di Giulia Flavia Baczynski svelano la composizione della materia, pieghe e tracce di ciò che troviamo in natura. E se la lettura del mondo avviene attraverso la lettura delle mappe, la conoscenza di quelle medesime mappe è possibile solo attraverso la lettura del mondo. Di qui la possibilità di identificazione del volumen con il libro, a condizione che il rotolo si dispieghi nell’evolutio, che venga spiegato. Un’azione che si apre all’infinita serie di combinazioni che si possono generare da ogni singolo foglio e dalle sue infinite pieghe.
Fotografare significa leggere la mappa del mondo. La forza di queste immagini scaturisce dall’essere un incrocio tra landscapes e mindscapes, ovvero tra geografie terrestri e geografie mentali, tra ciò che è e ciò che potrebbe diventare. Imagines mundi è il luogo dell’osmosi, della transizione, della trasformazione. È l’istante in cui ognuno di noi prova a immaginare non un luogo, ma un farsi luogo nella nostra mente.
Silvia Mazzucchelli