Il cerchio bianco | 2020Al MET di New York è conservato un disegno in cui Atlante è rappresentato chino sotto lo sforzo di portare una sfera vuota. Sulla superficie di questa sfera l’autore non ha disegnato nessuna rappresentazione del mondo; niente immagini, segni, coordinate, colori. Il disegno, unico nel suo genere, ha ispirato questo lavoro in cui le immagini funzionano come dispositivi per un viaggio in una cosmografia immaginaria. Attraverso una serie di azioni manuali minime ho agito sulla superficie fotografica per evocare altre rappresentazioni del mondo in cui elementi geometrici come il punto (bucato), la linea (incisa) e la superficie (piegata e strappata) sono i segni generatori di altri spazi. Analogamente alle costellazioni, queste immagini astratte diventano materia reale unendo dei punti vicini con semplici linee. I segni impressi sulla carta si trasformano in schemi e geometrie che rappresentano la trasposizione di un pensiero immaginifico nel mondo reale, diventandone parte integrante. Allo stesso tempo la materia reale subisce un processo di astrazione in cui l’evidenza visiva di ciò che esiste e il modo in cui si fa significante si intrecciano in un sistema di segni intenzionali. L’aspetto reale e il suo farsi immagine corrispondono ai due lati della stessa medaglia. In questo senso intendo la rappresentazione come la relazione visiva tra l’essere umano e l’universo. Una storia in cui ai segni di uno segue l’interpretazione dell’altro attraverso le arti e le scienze. Ma la rappresentazione non è statica così come non lo è l’universo. Esistono altrove collettivi codificati attraverso la cartografia ma esistono anche altrove personali. La naturalezza con cui ogni altrove diventa raggiungibile attraverso una mappa è indice della capacità e del desiderio di far sì che un paesaggio non sia un elemento esterno a noi ma che ne sia parte fondante. Parte di quella facoltà immaginativa che genera una visione capace di modificare la percezione e l’essenza stessa del paesaggio. |